Umana cosa…

A volte sembra che la nostra società come tale stia per sfaldarsi, o che sia animata da fenomeni che la sospingono indietro. Al di là delle nostre gioie personali, delle nostre vite, sembra che stia per inclinarsi su un fianco ma non per affondare, bensì per riannodarsi su dimensioni incomprensibilmente già viste o già temute. A me a volte pare che stia tornando il Settecento, con quella polarizzazione tra oligarchie familiari che hanno tutto e plebe che guarda, a volte con il cappello in mano, a volte con gli ammazzamenti, con la vergine cuccia di Parini e i pescivendoli di Porta, con quei dipinti magnifici di nobili e i teschi nelle chiese. Sembra che tutto si stia trasformando in una carne viva indistinta, che può prendere qualsiasi verso, che può retrocedere o avanzare, ma come un’onda. A pensarci bene, siamo sempre a pochissima distanza dal passato, a pochi passi dalle ghigliottine, a un niente dai roghi, a un soffio dalla barbarie. A volte sembra che ci sia una voglia di irrazionale che spaventa, una voglia di credere all’incredibile. È sempre più riconoscibile una coloritura paranoide del discorso pubblico, un complottismo che in alcuni momenti sembra potersi fare guida e che sta pian piano indirizzando i populismi di tutti i colori. Abbiamo cominciato a credere alle sirene, agli uomini falena, ai microchip, ma crederemo agli untori, alle colonne infami, temiamo le epidemie. Certo l’incredibile accesso a notizie e dati in rete ci rende potenzialemnte più forti di fronte ai poteri, ma anche preda massiva di qualsiasi leggenda. Siamo imbevuti di cronaca nera, conosciamo i colpevoli di tutto, senza leggere una carta processuale, ci piacerebbe credere agli avvelenatori di pozzi, alle streghe, se solo qualcuno ci conducesse fin lì. Crediamo al mito dei tedeschi cattivi e dominatori e dei latini ignoranti e cialtroni, crediamo al mercato o all’antimercato come si sarebbe creduto alle forze angeliche o demoniache, portate dal vento, al potere nefasto o taumaturgico dell’euro come alle reliquie di un tempo. Se non ci tenesse uniti il processo europeo, che rende oggettivamente difficili certi scatenamenti, saremmo già a suonarcele. Non siamo diversi dai nostri antenati dei tempi antichi, ma neppure da quelli dei tempi recenti e recentissimi, da quelli che assistevano alle impiccagioni in piazza (altro che Rinascimento: le città rinascimentali pullulavano di morti per le strade), dalle nostre antenate che facevano la calza di fronte alla ghigliottina, ma anche a quelli che credevano di fare le rivoluzioni solo perché sparavano a chi pensava diversamente, pochi anni fa. “Umana cosa è avere compassione degli afflitti…”, scriveva Boccaccio appena dopo la peste, e noi lo pensiamo emozionati, tutti insieme, ogni volta che il format lo consente. A volte sembra davvero che siamo sempre gli stessi. Forse davvero la storia è un fiume tortuoso, che torna indietro, che crea anse, che si impaluda, che si porta dietro tutto quello che ha.

2 pensieri su “Umana cosa…

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