Chi offre di meno? Alcune risposte

Il gruppo chiamato “Coordinamento delle ricercatrici e dei ricercatori non strutturati universitari”, autore del video che ho commentato qui, ha inviato direttamente alla redazione de Il Post un documento in cui spiega il video (che era già chiaro) e risponde ad alcune delle mie domande. In sostanza si ribadisce senza ulteriori spiegazioni il legame tra il definanziamento e la concorrenza sleale degli aspiranti assegnisti (e senza troppo interessarsi delle regole di assegnazione degli assegni e di altri contratti, che sarebbero invece secondo me il punto vero da discutere, se si fa riferimento a quanto il video ci mostra forse inconsapevolmente) e si risponde variamente alle domande. Posto qui di seguito il loro testo e i loro link, che confermano certe mie perplessità (per esempio sullo sciopero alla rovescia, che è un ottimo modo per far parlare – e quindi complimenti -, ma fa anche l’effetto distonico, certamente non voluto e non in relazione con quanto si vuole dire, dei vincitori per alzata di mano al ribasso del video che si mettono subito dopo la maglietta rossa per fare lo sciopero al contrario, cioè per protestare mantenendo le promesse fatte ciascuno al proprio professore e non scalfire il sistema di una virgola. Non credo che il gruppo di ricercatori precari abbia questo in testa e può darsi che forme di lotta meno ambigue siano poi possibili successivamente). Su altri elementi non commento, perchè mi pare gentile che siano loro ad avere l’ultima parola.

Felici per il dibattito che le nostre iniziative stanno suscitando, cogliamo l’opportunità offerta dall’articolo di Briguglia postato su Il Post, per rispondere alle domande che ci vengono rivolte.

Partiamo dal commento al video “Chi offre di meno?” in cui alcune colleghe e colleghi mettono in scena un’asta al ribasso. Di fronte a un professore che mette a bando un assegno di ricerca, i candidati si rendono disponibili a svolgere una serie di mansioni non previste dal contratto pur di lavorare. Nonostante sia stato scelto un registro ironico e paradossale, i contenuti sono molto seri. A chi ha avuto la pazienza di seguire il nostro percorso non sarà certamente sfuggito il collegamento tra le battute degli aspiranti assegnisti di ricerca e i risultati dell’indagine promossa dal Coordinamento, presentati nella nostra pagina facebook e durante l’assemblea nazionale che si è tenuta a Milano il 18 marzo. Nel video in questione un candidato si offre per “fare esami, ricevimenti studenti e seguire le tesi”: nel corso del 2015 gli assegnisti hanno partecipato ad oltre 32.000 commissioni d’esame e seguito 29.000 tesi. Un altro è disposto a “fare lezione”: il 90% degli assegnisti contribuisce alla didattica del proprio ateneo. I ricercatori precari fanno didattica in corsi di cui non sono titolari: nel 2015 il monte ore di didattica svolta da ricercatori precari è stato pari a 10 volte l’offerta formativa erogata dall’Università degli studi di Milano (lauree triennali). C’è chi si rende disponibile a “organizzare convegni”: il 97% delle ricercatrici e dei ricercatori non strutturati si occupa anche di mansioni amministrative (segreteria convegni, scrittura e rendicontazione progetti, …). E chi è disposto ad essere “reperibile 24 ore al giorno”: in un mese, le ricercatrici e i ricercatori non strutturati lavorano il 44% di ore in più rispetto a quanto previsto dalla Commissione Europea per i progetti Horizon 2020. C’è perfino chi dice “inizio a lavorare adesso e vado avanti anche dopo la fine del contratto”: abbiamo stimato che il lavoro non retribuito degli attuali assegnisti superi i 66.000 mesi. Il lavoro gratuito svolto dagli assegnisti è pari ai mesi di lavoro di tutti i dipendenti di Regione Toscana e Regione Lombardia in un anno. Questo video, come l’indagine e lo sciopero alla rovescia, hanno l’obiettivo di rendere visibile il lavoro di ricerca soprattutto agli occhi di chi non lo considera tale, come per esempio il ministro Poletti che è d’accordo nel non riconosce l’estensione della DIS-COLL ai dottorandi e agli assegnisti nonostante questi versino i contributi all’INPS, perché secondo lui il contratto dell’assegnista è “fortemente connotato da una componente formativa”.

Per tornare alle osservazioni di Briguglia, siamo proprio certi che non ci sia relazione tra definanziamento delle università e precarizzazione del lavoro di ricerca? Noi siamo convinti del contrario. Ci sembra evidente come il disinvestimento nelle politiche formative da parte dei Governi che si sono susseguiti negli ultimi 8 anni abbia generato un progressivo indebolimento di tutto il sistema universitario che ha portato a una precarizzazione del lavoro (ricercatori, docenti e personale tecnico amministrativo) e a un’erosione del diritto allo studio degli studenti universitari. Non sarà certamente l’unica spiegazione possibile, ma due dati ci colpiscono molto: dal 2009 ad oggi il finanziamento pubblico delle università è diminuito del 9,9%; nel 2015 metà del personale universitario ha un contratto di lavoro precario. Il Coordinamento non chiede un posto fisso per gli attuali ricercatori precari, come lascia sottintendere Briguglia. Sebbene il diritto al lavoro sia sancito dalla Costituzione, il discorso che da più di un anno stiamo cercando di portare avanti non riguarda soltanto le traiettorie di vita degli attuali precari (battaglia più che legittima), ma l’idea di una Università pubblica e di qualità. Se Briguglia avesse avuto la bontà di leggere i nostri documenti e le nostre proposte, avrebbe certamente letto che:

  1. il tema del reclutamento è urgente e necessario per poter mantenere un rapporto docente/studente che sia nella media europea (l’Università non è solo ricerca, ma anche didattica!). Nei prossimi cinque anni andranno in pensione 20.000 docenti. Non stiamo chiedendo un posto fisso, ma un’Università pubblica che sia in grado di offrire un servizio di qualità. Ricordiamo infatti che in Italia ci sono 19 studenti per ogni docente: il rapporto meno vantaggioso d’Europa;
  2. siamo perfettamente consapevoli del fatto che non tutti i dottori di ricerca potranno essere assorbiti dal mondo accademico, per questa ragione chiediamo che venga riconosciuto il valore legale del titolo di dottore di ricerca in modo tale da poter immaginare percorsi lavorativi anche al di fuori delle Università (enti locali, scuole, ministeri) e contribuire con il lavoro di ricerca al benessere delle nostre società.

Per concludere, proviamo a rispondere alle domande che ci vendono rivolte.

Volete davvero più assegni così, senza cambiare una virgola nel modo di attribuirli? Evidentemente non vogliamo più assegni, men che meno a queste condizioni, chiediamo, invece, che tra il dottorato e la docenza ci sia una sola figura pre-ruolo e che i contratti di lavoro abbiano gli stessi diritti e le stesse tutele a prescindere del ruolo occupato all’interno dell’Università.

Perché non proponete altri modi di fare quei concorsi-farsa che sono quelli degli assegni di ricerca, e via via fino ai concorsi da ricercatore e da professore? Il tema del reclutamento non è banale e diverse sono le sensibilità. Come Coordinamento non abbiamo ancora elaborato una posizione comune, ma siamo convinti che per superare l’attuale modello di cooptazione è necessario garantire: una maggiore trasparenza nelle procedure, la rappresentanza dei ricercatori non strutturati all’interno degli organi decisionali degli Atenei e una maggiore responsabilità diretta di docenti e/o Consigli di dipartimento nella selezione del futuro corpo docente. È un tema delicato e per fortuna il dibattito è ancora aperto.

Non sarebbe più coraggioso e più incisivo fare uno sciopero? Abbiamo già risposto a questa domanda e trovate le nostre riflessioni sul sito del coordinamento. Tra le altre cose lo sciopero alla rovescia ha avuto il merito di rendere visibile e dicibile la nostra condizione e trasformare il rumore delle nostre individualità in un discorso pubblico e collettivo. Anche grazie allo sciopero alla rovescia abbiamo reso la nostra “condizione” di precari, un “movimento” dei precari, passaggio necessario per immaginare anche altre forme di protesta che non tarderemo ad organizzare.

Siete contro la valutazione della ricerca vostra e dei vostri professori? Siete contro l’abilitazione scientifica? Siamo contro questa valutazione e contro quelle agenzie che la riproducono, ma non abbiamo nessun problema ad essere valutati. Consapevoli del fatto che possiamo far ricerca grazie a dei finanziamenti pubblici, render conto del nostro lavoro è un dovere. Quello che chiediamo sono nuove pratiche valutative che siano in grado, tra le altre cose, di valorizzare la collaborazione e l’impatto sociale della ricerca, le differenze tra gli ambiti e i settori di ricerca, l’internazionalizzazione, la complessità dei sistemi universitari. Ecco perché continueremo ad opporci alla logica meritocratica che si utilizza per giustificare l’attuale modello di valutazione. In primo luogo perché crediamo che il merito favorisce competizione e individualismo, mentre la ricerca è un processo collettivo che richiede collaborazione; in secondo luogo perché nasconde una pratica premiale e opaca che da una parte alimenta un modello di ridistribuzione delle risorse profondamente ingiusto e dall’altra ci chiede di modificare le nostre pratiche di ricerca a partire da parametri e criteri solo apparentemente e strumentalmente oggettivi.

Più che dalle certezze, anche noi siamo animati da domande, per questa ragione abbiamo lanciato e ci siamo impegnati nella scrittura di una Carta della Ricerca e dell’Università Pubblica. Un percorso aperto e condiviso con le altre componenti che animano le nostre università; chiunque, con i suoi consigli e le sue domande, è il benvenuto

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