Chi ha paura della retorica?

Non c'è un altro paese che come l'Italia abbia paura della retorica e accusi ogni discorso che si stacchi minimamente dall'ordinario di essere retorico. Non c'è scampo. Si parla dei 150 anni? Retorica. Si parla d'Italia e delle sue possibilità? Retorica. Certo pesa ancora culturalmente l'abbuffata fascista, che ha distrutto in un solo colpo il paese e la retorica nazionale. Tuttavia ci abbiamo messo del nostro, coltivando sostanzialmente un'idea della retorica molto simile a quella del "Processo di Frine", qui di seguito (da vedere almeno il primo paio di minuti e la conclusione dal minuto 7.15):


 

Ma "retorica" non indica solo un discorso vuoto e ampolloso, pieno di paroloni inutili e ricercati. Il significato originario indica le regole per comporre un discorso persuasivo, a fini giudiziari o politici, che muova all'azione e alla decisione. In questo senso è ancora uno degli strumenti, forse il principale, del discorso pubblico e politico ed è ancora validissima la massima dei retori antichi secondo cui gli oratori si dividono in due categorie, quelli di cui si dice, alla fine del loro discorso, "come ha parlato bene" e quelli per cui alla fine del discorso i cittadini senza dire niente sono spinti a compiere azioni (o a pensare qualcosa di nuovo, aggiungerei).
Ma per spingere all'azione spesso si devono evocare valori più profondi, comuni appartenenze, emozioni. Tutto quello che per noi italici, appunto, è "retorica". Non è così per il discorso pubblico di altri paesi. Si pensi ai discorsi di John Kennedy, o addirittura a quelli di Martin Luther King, zeppi di riferimenti biblici e religiosi.
E i discorsi della campagna elettorale di Obama, con quel continuo riferirsi a Mosè, al cammino da fare, alle visioni lontane? Li avremmo squalificati in 5 minuti (di seguito il video con sottotitoli italiani). E con i suoi anche quelli dei presidenti francesi e di certi discorsi pubblici da commonwealth britannico.

Peraltro il bel film "Il discorso del Re", appena uscito, parla proprio del dramma di un re che non può essere oratore, proprio nel momento in cui il paese ha più bisogno di una voce e di un discorso in cui riconoscersi. Del resto ottima retorica la troviamo proprio nei film, e paghiamo il biglietto per poterla ascoltare. "V per Vendetta", che è stato un cult degli anni 2000, tanto da venire ripreso e riadattato molto bene anche dal popolo viola (il video è qui), ha come protagonista – ricordiamolo – un uomo in maschera seicentesca, in omaggio a un dinamitardo cattolico inglese del XVII secolo che voleva far saltare il parlamento perchè aveva messo fuori legge i cattolici. Storia patria insomma, cose che a noi fanno accaponare la pelle. Il retoricissimo discorso centrale del film non può essere caricato sul blog, ma si può vedere qui.
La retorica insomma, quando è legata alla conoscenza della cose (lo diceva Cicerone), ha la capacità di creare un mondo comune, di filtrare possibilità e progetti (e da qui nasce anche la sua pericolosità).
Per questo la retorica (questa sì vuota e ampollosa) dell'antiretorica mi sembra sempre più pericolosa nel nostro contesto. Impedendo un discorso pubblico basato anche su valori che si richiamano alla storia comune, che è uno dei patrimoni più importanti della retorica (come si vede nel discorso di Obama, ma anche nei film citati), il risultato non è la capacità di andare dritto al cuore "delle cose importanti", non retoriche, non è la soluzione dei problemi, ma al contrario l'eliminazione di una "regola" linguistica pubblica, l'eliminazione di un vincolo etico-linguistico per chi parla pubblicamente.
Se fosse la mancanza di una retorica condivisa uno dei problemi del discorso pubblico italiano? Un dei primi ad accorgersene è stato proprio Bossi, che ha inventato un passato che non c'era e lo ha arricchito di una retorica che come stile e tecnica viene direttamente dal Risorgimento.

Si tratta in questo caso di una sorta di atto performativo vuoto, del 1996, quindici anni fa, anche perchè non poggia su un dato concretamente storico. Da allora Bossi ha governato per due legislature lo stato italiano e quella retorica non è riuscita a spostare di un millimetro la percezione delle cose e dei problemi, rimanendo inerte. Ma ciò non toglie interesse al tentativo linguistico. I partiti di sinistra hanno nel frattempo del tutto sottostimato l'importanza del linguaggio, non solo per una naturale e malintesa diffidenza per la retorica, ma perchè la retorica dell'antiretorica del centrodestra è stata più forte e si è imposta. Almeno fino a oggi.
I 150anni dell'unità sono un'ottima occasione per riprendere contatto con la storia del nostro paese, e a conti fatti la storia di come il paese si è costituito e del secolo e mezzo successivo non è per nulla una brutta storia. Sarebbe una possibilità di riflessione sprecata (pensiamo solo a come la valorizzerebbero americani e francesi) se giudicassimo celebrazioni e festa del 17 marzo e del 2 giugno (che è la vera festa internazionale) solo come retorica, nel senso di De Sica, e un po' di retorica, per una volta, anche nelle sue manifestazioni più emozionali, anche un po' all'italiana, può aiutarci a dare un po' di coraggio alle nostre scelte e alle decisioni collettive, che prima o poi dovremo prendere.

2 pensieri su “Chi ha paura della retorica?

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